venerdì 29 novembre 2013

Myanmar: benvenuti gli imprevisti

Stamattina mi alzo con calma, tanto e' il giorno del cazzeggio ...
Colazione, giro al mercato a vedere le bancarelle, bighellono; passo di fronte al 'salone di bellezza' dove dovrei tagliarmi i capelli ma la pigrizia sembra farla da padrona, non entro, rimando.
Ritorno alla guesthouse e trovo la mia guida del giorno prima che mi saluta e mi chiede 'cosa vuoi fare oggi?'.
Io so che piu' o meno ho coperto le destinazioni vicine e lui fara' fatica a propormi qualcosa ma gli chiedo con entusiasmo che cosa propone lui: ci pensa e mi propone un villaggio ad 1 ora di moto dove tessono con i telai a mano, dice che la zona per arrivarci piu o meno l'ho gia vista ma per strada ci infilera' un altro villaggio, fara' delle strade che non ho fatto, non e' molto ricco ma che mi puo' piacere.
Io al solo pensiero di 4 ore di moto in questi panorami accetto, altro che parrucchiere!
Mi porta in stradine deliziose e poi alla fine di un ponte su una risaia arriviamo ad un villaggio: ci fermiamo a bere un 'acqua' che viene estratta tagliando delle foglie di palma: e' leggermente frizzante, segno che sta gia iniziando la fermentazione.
La mia guida spiega come mai siamo li, che mi interessa la cultura della gente ed il capoarea ci dice che c'e' un piccolo nuovo insediamento di contadini di una etnia che da un paio di anni si e' trasferita li dalle montagne al confine con la Thailandia.
La mia guida che conosce la zona non lo sapeva ancora, e chiede se ci fa' strada.
Arrivatati ci troviamo di fronte ad una decina di case su palafitte con tetti e pareti di cocco, ed il primo essere umano che incontriamo e' una donna anziana, l'aria un po trasandata, che masticando betel ci indica la casa del capovillaggio.
Indossa una gonna ed un top che dimostrano diversi anni ma guardandoli bene e' stoffa tessuta a mano, con un disegno geometrico ed un insieme di colori interessante.
Ci viene incontro il capo villaggio che ci da il benvenuto e ci invita a salire nella sua casa.
Lui e' giovane, 35/40 anni, alto, forte, un bel viso da carriera televisiva: ha la pasta bianca sulle guance, sul naso e sulla fronte, ed ha i capelli raccolti in un piccolo chifon proprio sopra la fronte, temuto da una fascia multicolore.
La sua palafitta ha una scala di bambu per salire all'unico piano vivibile che e' diviso in due parti: la 'terrazza' che fa da zona giorno ed una stanza chiusa che fa da zona notte.
Ci offre il necessario per farci una foglia con il betel ma siccome ne io ne la guida accettiamo ci offre tabacco e foglia di tabacco per rollarci una sigaretta.
La guida accetta ed io spiego che non fumo da 22 anni, ma sono contento di essere li anche se mi sento completamente fuori luogo.
Gli sono piombato in casa come un ficcanaso e non riesco a comunicare se non passando dalla guida.
Comunque i due se la intendono, e il capovillaggio non e' disturbato che io sia li.
Sono di religione animista, ed il buco con l'altarino nella parete che di solito ospita la statua del Buddha e' stranamente vuoto.
Ci spostiamo in un altra palafitta dove la anziana di prima mi fa vedere come producono la loro stoffa: sono poco piu' di 2/3 canne che tengono la trama della stoffa in tensione tra un punto sulla parete ed una cintura che la donna indossa, seduta in terra; e' il suo sbilanciarsi all'indietro che mette in tensione la trama.
Il filo viene passato lento ed immagino che la produzione sia bassissima e ad uso esclusivamente personale.
La donna si scusa perche' dice che e' diventata vecchia e non ci vede piu bene, ma sua figlia che e' quella che sta facendo la stoffa e' nei campi.
Tirano fuori un corno, un flauto, un arpa birmana, strimpellano ma e' piu' caos che altro; io mi sento sempre piu' fuori posto.
Poi tirano fuori una specie di banjo e mi dicono che hanno mandato a chiamare uno che lo sa suonare; e' un giovane sui 16-18 anni con un sorriso di denti storti che attacca una specie di cantilena.
E sono 3 maschi a cantare (c'e' anche un ragazzino sui 13-14) mentre le donne ascoltano e la anziana annuisce.
Sono diverse strofe tutte simili, e nei visi dei 3 cantanti c'e' serenita', complicita', allegria; io mi lascio cullate da questa specie di ninna nanna ed osservo.
Non e' uno show, e' un momento bello, si cercano con gli occhi, stando cantando per loro; non sono un turista, sono un ospite.
Mi commuovo.
Quando dopo una decina di minuti concludono, si lascia spazio al silenzio.
La guida e' sorpreso anche lui e dopo uno scambio con il capovillaggio mi spiega che la canzone parla della storia del mondo e di come le genti si sono succedute nel tempo fino ad oggi.
Non hanno il testo scritto, lo tramandano da padre in figlio cantandolo.
La guida mi fa capire che lui non sapeva neanche dell'esistenza di questo testo.
Li ringrazio di avermi ospitato e chiedo alla guida di dire loro che sono onorato di essere stato con loro.
La donna anziana si avvicina, si siede vicina, mi prende un braccio e me lo alza, e' contenta di avermi li.
Io non capisco il gesto ma lo capiro' dopo, appena prima di risalire in moto, quando lo ripete essendo in piedi ed io riesco a ripeterlo a specchio; e' un saluto rituale.
Andiamo per risaie, altri villaggi, altri panorami, ma ho fatto indigestione degli occhi di quella donna e sono gia' pieno.
Questa e' la magia del viaggiare da soli, e di avere il tempo da potersi lasciare aperti agli 'imprevisti'.

1 commento:

  1. Dimenticavo: mentre andavamo per stradine sterrate ad un certo punto la guida attacca a cantare "Country roads, take me home, to the place I belong ... " di John Denver (trad. "strade di campagna, portatemi a casa, al posto a cui appartengo...").
    Mi viene da ridere, ma ci sta tutta!

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