giovedì 9 gennaio 2014

Cambogia: da Phnom Penh a Phnom Santuk

La capitale della Cambogia, Phnom Penh, e' una metropoli con un traffico impossibile. Contromano, passare con il rosso, nessuna precedenza ... la regola e': "non ci sono regole".
E' molto piu rischioso attraversare la strada qui che accarezzare una tigre ...
E poi conduttori di tuk-tuk opprimenti, e venditori assillanti, e mendicanti: una grande metropoli per nulla rilassante, ma con ristoranti, locali, bar e lungofiume da frequentare la sera.
Di giorno solo il Museo Nazionale (e forse il Palazzo Reale) e' degno di nota, con una bella raccolta di bronzi e di statue antiche di secoli, quindi un giorno basta e avanza, e si prosegue per Kampong Thom, a meta' strada per Siem Reap.
Viaggio di pianura, tra distese di risaie e qualche palma isolata, con una strada in costruzione che  genera polvere rossa che entra dappertutto.
L'autobus ha il wifi gratuito: non si sa precisamente a che ora parte ne quando arriva, non si sa quale e' il tuo posto ma il wifi c'e'.
Il wifi gratuito oramai qui in Indocina e' dappertutto: bar, negozi, ristoranti, trasporti. In Italia abbiamo una classe politica analfabeta che ha creato leggi medioevali che impediscono di fatto agli esercenti di installare una tecnologia che non costa nulla ed e' molto richiesta dagli utenti: i turisti che vengono in Italia lo sanno e si lamentano. Siamo dietro anche alla Cambogia ...
Comunque, a Kampong Thom si fermano pochi turisti e questo per me e' solo un bene: dopo una rinfrescata veloce ed un boccone affittiamo un tuk-tuk e partiamo per Phnom Santuk.
Prima sosta dagli artigiani che lavorano la pietra e scolpiscono statue, prevalentemente di Buddha (ovviamente).
E' comunque affascinante vedere questi enormi blocchi di pietra che prima vengono abbozzati, poi rifiniti nel corpo e per ultima cosa viene fatto il volto, il piu' difficile.
E queste statue incomplete, perfette nel corpo ma senza volto, hanno un fascino simile ai Buddha senza testa visti nei siti archeologici; per me e' un ricordo a lasciare andare il 'volto', la maschera, la personalita', la mente, l'Io.
Seconda sosta al laboratorio di sciarpe di seta dove un arzillo 72enne americano, reduce del Vietnam che ora vive qui con la moglie cambogiana e che dirige il laboratorio, ci fa vedere tutto il processo dalla crescita dei bachi, i bozzoli,  la creazione dei fili di seta fino alla tessitura.
La sua storia personale e l'evoluzione del suo progetto iniziale con i disabili in un laboratorio artigianale con le donne del villaggio sono molto affascinanti.
Inoltre e' uno dei pochi posti al mondo dove comperi un oggetto di abbigliamento e poi ti fai la foto con la persona che lo ha prodotto.
Terza sosta a Phonm Santuk, meta principale del nostro viaggio; si tratta di un complesso di templi in cima ad una collina a cui si accede attraverso una scalinata di 809 scalini che si aprono la strada nella giungla.
Tutta la scalinara e' abbellita da migliaia di statue tutte identiche che reggono due enormi code di serpente che, come due corrimano, partono dal tempio ed arrivano alla base della scalinata.
E la pace e la magia del posto, una volta arrivati, ripagano i 30 minuti di fatica dei pellegrini per raggiungerlo.
Il complesso, anche se e' abitato da monache, e' un po in abbandono fatta eccezione per 2 o 3 edifici in buono stato, ma e' circondato da alberi e roccie che sbucano dal terreno, alcune delle quali sono state usate per scolpire dei Buddha distesi o per ricavare nicchie per altre statue. In giro, nessuno.
Insomma un atmosfera di pace e forte contatto con la natura; all'ingresso del tempio aperto al pubblico una vecchia monaca sdentata sta sistemando dei fili di lana rossi.
Le passo davanti e le sorrido, e lei fa altrettanto e mi fa segno di entrare: l'interno e' pulito, in ordine, statue addobbate, fiori freschi, profumo di incensi.
E' il loro posto.
Quando sto per uscire mi chiama e parlandomi nella sua lingua mi lega 4/5 fili di lana attorno ad un polso, e sempre continuando a recitare parole a me incomprensibili accarezza con entrambe le mani in mio avambraccio e la mia mano.
Una decina di secondi in tutto, poi torna in silenzio, mi lascia la mano, mi guarda e sorride.
Io so cosa significa il suo gesto, non ho bisogno di sapere il significato delle sue parole: la sua e' stata una benedizione, quei fili di lana sono un simbolo a ricordo di quella benedizione, una specie di "portafortuna".
E poi il suo sorriso, come il sorriso del 72enne poco prima, va ad aggiungersi alla borsa dei sorrisi che sto raccogliendo in questo viaggio; materiale raro, bene prezioso che scalda il cuore e fa bene all'anima.
Il viaggio di ritorno in paese regala un magnifico tramonto con siluette di palme sulle risaie.
Sorrido anche io: una magnifica giornata, fuori dalle rotte piu battute, ancora una volta inaspettata.

(foto: Phnom Santuk)

1 commento:

  1. la borsa dei sorrisi…la porti anche tu a noi! :) un bacione grande Maitri

    RispondiElimina