venerdì 13 dicembre 2013

Vita da monaci

Prima di tutto c'e' da fare una premessa: il buddhismo in questa parte del mondo ha creato un modello sociale che funziona anche da ammortizzatore.
Gli orfani, i disabili, i poveri sono raramente in strada o in strutture dedicate, sono nei monasteri, sono tutti monaci o monache: questo fa si che in strada non si vedono mendicanti o senzatetto.
Come in occidente anni fa, una famiglia numerosa in difficolta puo decidere di 'dare' un figlio al monastero.
C'e' poi da precisare che i monasteri non sono frequentati solo dalla fascia 'bassa' della popolazione: e' buona norma che tutti i maschi, per un periodo che va da qualche settimana a qualche mese, lascino tutto e si impegnino come novizi per acquisire per se e per la famiglia 'meriti' (questo spiega i monaci con gli smartphone) e poi ovviamente c'e' chi sceglie questa vita per vocazione.
I monasteri sono quindi strutture grandi che hanno bisogno di costante supporto da parte dell'esterno: infatti tutto il popolo e' chiamato a mantenere i monasteri attraverso le donazioni e le elemosine.
La gente mantiene i monasteri, i monasteri mantengono i deboli, ed il cerchio si chiude.
Quindi tutto sta in piedi se la gente fa le elemosine, ed e' per questo che ogni singolo gesto di elemosina che una persona fa gli permette di guadagnare 'meriti' per la sua prossima vita che sara', si spera, migliore.
Significa che in una ipotetica contabilita' di 'meriti', conviene fare, ad esempio, 100 elemosine da 1 euro che farne una sola da 100 euro, si accumulano piu' meriti.
Oltre che distribuire meglio a pioggia le donazioni, il sistema inculca il concetto di 'donare' secondo le proprie possibilita' (avendo piu possibilita' si fanno un numero maggiore di donazioni) e questo e' sicuramente positivo.
Cosa si dona? Al monastero di tutto, ai singoli monaci principalmente cibo e denaro che viene poi condiviso.
Ora mentre ai turisti Luang Prabang offre baguette, croissant, ristoranti ed escursioni varie, la vita dei monaci viene scandita da ben altri ritmi.
Sveglia prima dell'alba e poi tutti fuori a chiedere l'elemosina in giro per la citta: ma quello che in altre parti e' semplice e quasi naturale, a Luang Prabang e' diventato una 'cerimonia' che, grazie anche al fatto di essere citata su tutte le guide, richiama centinaia di turisti.
Mi era capitato altrove di vedere i monaci, la mattina presto: una decina di loro, in fila indiana, con la ciotola per le elemosine a tracolla, preceduti di una decina di metri da un ragazzo con una campanella.
Sentendo il suono della campanella le persone escono di casa o dai negozi con il riso o il cibo preparati prima, ed al passaggio dei monaci versano un pizzico di riso nella ciotola.
Un piatto di riso viene cosi suddiviso in 20-30 ciotole, un po per uno: ma siccome le offerte sono molte, ecco che un pizzico alla volta la ciotola si riempie.
C'e' chi dona soldi (di solito gli uomini) ma cambiano le banconote in tante di piccolo taglio (10-20 centesimi di euro) e anche quelle, una per uno.
Quello che mi e' capitato di vedere e' vero, autentico, umano, normale: alcune mattine mentre ero ancora a letto mi e' capitato di sentire il suono della campanella e sapevo cosa stava succedendo fuori.
La vita procedeva con i suoi ritmi naturali.
Quello che ho visto a Luang Prabang mi ha disturbato, amareggiato, deluso, disgustato: avevo le lacrime agli occhi.
Appena fuori il monastero c'erano centinaia di persone, tutte in fila, tutte inginocchiate in terra su cuscini tutti uguali, tutti con la stessa fascia a tracolla, tutti in attesa.
Ci sono agenzie che organizzano questi 'posti' che sono molto graditi dai turisti coreani (ma non solo): se fai attenzione al colore della fascia o al colore del cuscino sai dove finisce un pulman e dove comincia l'altro.
Ma questo passa, e' l'atteggiamento ed il continuo scattare delle macchine fotografiche che e' tremendo: il reporter compiacente, lo 'scattino' o l'amico che e' rimasto fuori provvede alla foto in ginocchio prima, la foto mentre si fa l'offerta, la foto di gruppo subito dopo ... tra un gruppo di monaci e l'altro.
E poi gli altri turisti che non si sono messi in fila ma che comunque non rinunciano ad una foto da portare a casa.
Non c'e' bisogno del ragazzo con la campanella: qui basta fare un respiro profondo, mettere il piede fuori dal monastero e si e' gia' in scena.
Forse mi farebbe bene fare il monaco qui a Luang Prabang per un po: sicuramente chiedendo l'elemosina e facendo slalom tra i cavalletti delle macchine fotografiche sarei costretto a disidentificarmi da quello che chiamo 'rispetto', da quello che chiamo 'dignita', da quelle parti dell'ego che oggi mi fanno gridare vendetta al cielo.
Forse, ma non sono ancora pronto.

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